
Abbandono scolastico: divergenze nel ritorno dallo studio.
di Jacopo Signorelli, Jacopo Bassetto e Andrea Gorga
L’Italia registra un livello di abbandono scolastico, ovvero di interruzione definitiva degli studi prima del conseguimento del diploma, tra i più alti dell’Unione Europea.
Un’analisi più dettagliata del fenomeno restituisce un quadro piuttosto frammentato nel territorio:

In questo lavoro cerchiamo di capire quali siano gli incentivi che si rivelano decisivi per la scelta se continuare o meno gli studi. In modo particolare, ci concentriamo sull’effetto che il conseguimento del diploma tecnico o professionali ha sulla probabilità di essere occupato negli anni immediatamente successivi al conseguimento del titolo. Ceteris paribus, è plausibile supporre che, all’aumentare di questa probabilità, ci sia una pressione maggiore ai fini del proseguimento degli studi: il costo dell’abbandono, infatti, aumenta nelle zone dove il tasso di occupazione giovanile per i diplomati è più alto.
Per analizzare questo fenomeno, analizziamo i dati Labour Force Survey (LFS) 2014-2018 e consideriamo la classe di età 20-29 anni. Facciamo riferimento a una regressione della seguente tipologia:

dove le variabili indipendenti sono tutti variabili dummy e

Il coefficiente d’interesse è l’interazione tra provincia e titolo di studio, il quale ci restituisce l’effetto differenziale di diplomarsi in una certa area del Paese rispetto a un’altra. In modo particolare, consideriamo il confronto tra “nessun titolo” e “diploma tecnico/professionale”. Infatti, è proprio in questa tipologia di percorso scolastico che si annida in modo più diffuso il fenomeno dell’abbandono scolastico.
Nella seguente mappa (Figura 1) sono presenti i coefficienti del termine di interazione, espressi come odds ratio. La provincia di controllo è Torino. Odds Ratio superiori a 1 indicano un effetto maggiore del titolo di studio sulla probabilità di essere occupati rispetto a quello di Torino, e inferiori a 1 indicano un effetto minore.

Dalla figura emerge uno schema chiaro: le regioni del centro-nord hanno coefficienti maggiori, specie nel nord-est del Paese, dove l’industria ricorre ampiamente a diplomati tecnici e professionali; al contrario, le aree del Meridione manifestano, in generale, coefficienti minori. Ciò potrebbe essere causato da un più fragile tessuto industriale e la domanda di lavoro meno specializzato (va ricordato che il LFS ci permette di registrare il sommerso). Controllando per l’effetto fisso provinciale, inoltre, possiamo escludere altre specificità regionali che possono incidere sul tasso di occupazione.
È interessante notare che, anche nel centro-nord, le province con coefficienti più bassi tendono a essere le medesime con il tasso di abbandono più alto: Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Pordenone, Alessandria, Modena, Perugia.

La figura 2 mostra il coefficiente d’interazione riferito al conseguimento della laurea e considerando la classe di età 25-34 anni. In questo caso non sembrano emergere differenze sostanziali tra nord e sud, anche se le province con i coefficienti più bassi si trovano nel centro-sud. In questo caso, infatti, le differenze del tasso di occupazione tra i laureati sono evidenziate dalla variabile dummy provinciale, e non dal termine d’interazione.
Il più diffuso impiego delle categorie meno specializzate della classe lavoratrice diminuisce il beneficio relativo di perseguire gli studi. La figura 4 indaga in modo più ramificato quella che viene definita “Incidenza dell’occupazione in professioni a basso livello di competenza”, ovvero quelle che non richiedono un diploma o una qualifica professionale (fino a 4 anni di studi superiori), e conferma la giustapposizione nord-sud.

La nostra analisi del ritorno economico del diploma considera ora la differenza di stipendio tra il conseguimento del diploma e non. Facciamo riferimento a una regressione della seguente tipologia:

Ancora una volta, ciò che ci interessa è il coefficiente del termine di interazione, così da isolare gli effetti fissi sia provinciali sia generici rispetto al titolo di studio. Nella seguente mappa (figura 6) consideriamo la classe di età 20-29 anni, quella più rilevante per i giovani che si creano delle aspettative sul mercato del lavoro e, in base a queste, decidono se continuare o meno gli studi. La provincia di controllo è Torino, per cui i coefficienti vanno intesi come un un livello più alto (o più basso) del salario reale, una volta conseguito il diploma, rispetto al capoluogo piemontese.

Dal quadro emerge come, in generale, la differenza salariale salariale reale è più marcato nelle regioni centro-meridionali. Ciò si spiega sia con un più basso costo della vita nelle suddette regioni, in modo particolare riguardo agli housing costs, che costituiscono un terzo del calcolo del costo della vita nella nostra analisi. Inoltre, i contratti sono definiti secondo la contrattazione nazionale, per cui lo scostamento nominale tra questi non è significativo quanto lo sia la differenza del costo della vita. Infine, il balzo retributivo può anche essere spiegato dall’ampio ricorso al “lavoro nero” nelle regioni meridionali, un problema più diffuso per coloro i quali non hanno un diploma e sono occupati in mansioni a bassissima specializzazione. Questo spunto interpretativo è corroborato dalla seguente mappa (Figura 7), dove è rappresentato il reddito medio (nominale) mensile per provincia per chi non ha un titolo di studio tra i 20 e i 29 anni:
